Fino
a non piu di due mesi fa Genova per me era città di passaggio lungo
la tratta del mio consueto itinerario. Di questa città sapevo solo
che li era nato Fabrizio De Andre'. Passavo da Genova partendo da
Torino per evitare la nebbia sulla A21, facevo Genova quando c'era
qualche difficoltà sul tratto appenninico Firenze Bologna. Di Genova
come luogo di carico/scarico conoscevo solo l'Ilva in zona aereoporto
dove sporadicamente caricavo banda stagnata, e la coop di Bolzaneto
dove scaricavo pasta e vino dalla Campania. Ma Genova è città di
mare e di porto, al porto arrivano e dal porto partono le merci da e
per il mondo. Merce che arriva dal mare, ma che poi necessariamente
dovrà incontrare la strada e quindi il camion per poter concludere
il suo iter . E così che, non so per quale strana coincidenza
astrale, mi sono ritrovato anch'io a movimentare scatoloni d'acciaio che vengono
convogliati qui da ogni angolo del pianeta ove l'uomo s'industria e
produce. Il container, termine inglese per identificare un
contenitore, serve a contenere tutto quello che si può immaginare.
Immaginare appunto, perchè la merce che in esso è contenuta non la
vedrai mai. Sai che stai trasportando il caffè o le banane solo perchè
hai sbirciato i documenti che l'accompagnano. La merce non la vedi
neanche quando, giunto in loco, dischiudi il sarcofago da 40 piedi per svuotarne il
contenuto. La tua curiosità di sapere cosa ci arriva da oltreoceano non sarà mai sopita. No, perchè all'interno
dello scatolone giramondo non ci trovi le balle di cotone dell'Alabama o i vestiti di seta dal lontano Oriente che ti aspettavi, come in quei racconti di Salgari. Ma solo scatole di cartone chiuse con
nastro adesivo e all'interno scatole più
piccole che a loro volta contengono magari la confezione da tre dei calzini o
dei boxer made in Cina che compri al mercato rionale del tuo paese, ignaro di quante miglia marine abbia percorso la tua mutanda di nylon prima di
poterla indossare! L' impatto con questa realtà è stato devastante. Io che quando incrociavo un portacontainer mi giravo dall'altra
parte, mi ritrovo a dimenarmi tra ufficio merci e spedizionieri, o
aspettare il fax dell'agenzia che ti comunica dove devi andare a
ritirare il pezzo e dove lo devi portare. Non ce la posso fare -mi ripeto-
mentre aspetto il mio turno all'ufficio merci del Terminal Voltri. Un
brulicare di gente che entra ed esce con il suo foglietto in mano al
suono del “bip” che annuncia il prossimo numero. Un continuo
antirivieni di persone e mezzi, un moto perpetuo proprio come quel
“mare scuro che non sta fermo mai”. Non ce la posso fare e me ne
convinco sempre di più, quando calata la sera sul promontorio di San
Benigno, rimani da solo ad ascoltare le urla dei gabbiani che si mischiano alla
sirena dell'ultima semovente ancora in azione all'interno del porto. E la sopraelevata, un nastro di cemento sorretto da pilastri grigi che
circonda la Lanterna come a soffocarla, funge da parcheggio per i
camion, che aspettano il nuovo giorno per dare inizio alla consueta monotonia di un viaggio dal tragitto breve ma che tanto impegna; e qui sono fermo anch'io a chiedermi perchè lo faccio.
Genova “dicevo” che conoscevo solo per “i suoi svincoli
micidiali” adesso è diventato il posto dal quale voglio e devo
andare via. Ma via da questo posto di Genova, non dalla città che
invece vorrei conoscere e visitare, per fare una passeggiata in “via
del campo” o “lungo le calate dei vecchi moli”. Il s.e.c.h il v.t.e il varco Etiopia e l'Assereto non mi piacciono!
Dura realtà....sono entrato nel girone infernale dei container nel 2013, dopo 30 anni di cava cantiere,ed ancora non ne esco...la parte burocratica è devastante .......attese infinite per un documento od una virgola fuori posto, la sorpresa quando apri le porte e non ti rendi conto di come quel carico di sia scondizionato o di come abbia fatto a rimanere in piedi.max.
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